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Amiamo navigare in barca a vela e viaggiare a piedi per il mondo.
Questa è la sintesi di cosa può accadere quando una velista amante del mare e delle regate, che ha navigato in lungo e in largo per tutto il mediterraneo, si innamora di un camminatore “incallito”

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Navigare… per fottere la morte!

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Navigare… per fottere la morte!

Lo so! Qualcuno starà pensando che sia un po’ presuntuoso pensare di navigare per fottere la morte. Ma se siete arrivati in questo blog ed avete aperto questo post, ci sono poche alternative: o vi siete persi nell’etere o, magari, anche voi siete alla ricerca di (un qualche) senso della vita. E credetemi, l’andar per mare è un meraviglioso modo di mettersi alla ricerca del senso della vita. Lavoro improbo questo e che non ha mai veramente fine. Ma ci piace pensare che l’andare a vela ci consegni ad un viaggio capace di portare qualcosa fuori di noi, proprio come fanno l’emozioni. In fondo la stessa parola “emozione” deriva dal latino emovère che vuol dire per l’appunto portare fuori. Ma cosa porta fuori l’esperienza della navigazione a vela? Porta il nostro sguardo fuori dal solito, dal conosciuto, dal consolatorio. Porta il nostro corpo fuori dal cemento, dalle città, dal solido tetto sopra di noi. In un certo senso potremmo dire che la navigazione, per quel suo dondolio costante che ci spiazza continuamente e quel senso di precarietà, ci avvicina di un piccolo passo proprio alla morte. Quella morte che in barca possiamo sentire sibilare nel vento, evaporare nella schiuma delle onde o nelle vibrazioni di quel sottile guscio rigido che ci separa dai 1000 metri d’acqua sotto i nostri piedi. Eppure sono rare le occasioni che ci fanno sentire così a nostro agio come il navigare a vela, come se la vita in barca ci mettesse in contatto con qualcosa d’antico che ci riguarda fin dalla notte dei tempi. Qualcosa che ci ricorda che Vivere è sempre “più del semplice fatto di respirare”, che la ricerca spasmodica della sicurezza e la negazione costante della morte finiscono per consegnarci lentamente a quest’ultima, finiscono cioè per deprimere la vita rendendoci “normalmente infelici” (S. Freud) . Lowen d’altra parte sosteneva che “le difese che erigiamo per difenderci da qualcosa che ci fa paura, si convertono in un’enorme calamita che attira quella cosa stessa”. Ed allora, forse, navigare in barca a vela può significare non temere (troppo) la morte ed al tempo stesso esorcizzarla dalla vita! Allontanare i suoi effetti mortificanti per lasciarci cogliere dall’esperienza così come si può. Insomma la nostra deliziosa maniera di fottere la morte!

L. Stabile

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